George E. Lemaître, padre del Big Bang, e le implicazioni filosofiche di una teoria scientifica

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Georges Edouard Lemaître (1894-1966) è il padre della cosmologia moderna, avendo proposto per prima l’espansione dell’Universo e l’ipotesi del Big Bang.

Nel 1927, nel suo articolo Un universo omogeneo di massa costante e di raggio crescente, che giustifica la velocità radiale delle nebulose extragalattiche, avanza “per la prima volta, l’ipotesi che le velocità di recessione delle nebulose extragalattiche siano la conseguenza cosmica dell’espansione dell’Universo nell’ambito della relatività generale… Non soltanto, quindi, Georges Lemaître ha trovato (contemporaneamente a Friedmann, ma indipendentemente da lui) l’espansione come soluzione delle equazioni relativistiche, ma è anche il primo ad affermare che si tratta della soluzione corretta, perché si basa sull’analisi delle osservazioni… Lemaître enuncia così chiaramente la relazione di proporzionalità esistente fra la velocità di recessione e la distanza, la stessa legge che Hubble pubblicherà solamente due anni dopo, riportando numeri praticamente identici, e la paternità gli verrà attribuita dalla storia. Questa scoperta dovrebbe essere almeno parzialmente attribuita a Lemaître …” (1)

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Nel 1931 nel testo L’espansione dello spazio propone per primo l’ipotesi dell’atomo primitivo, cioè il Big Bang (“Possiamo immaginare che lo spazio abbia avuto inizio con l’atomo primitivo e che l’inzio dello spazio abbia segnato anche l’inizio del tempo”).

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Lemaître non è solo uno scienziato, il padre del Big Bang, ma anche un sacerdote teologo, oltreché, come Max Planck, Werner Heisenberg, Albert Einstein, un eccellente pianista e un amante delle lettere.

giornaleNella foto il premio Nobel per la fisica Millikan, Lemaître ed Einstein

Le sue idee cosmologiche destano subito un grande dibattito, prima ancora che scientifico, filosofico. Viene accusato di aver voluto presentare l’idea biblica e cristiana di creazione dal nulla, sotto una nuova veste, psuedo-scientifica.

Per questo il Big Bang, richiamando ad un Universo finito nel tempo e contingente, rimane a lungo un problema anzitutto filosofico, come raccontato in queste due pagine tratte da Francesco Agnoli, Creazione ed evoluzione. Dalla geologia alla cosmologia, Stenone, Wallace e Lemaitre, Cantagalli, Siena, 2015:

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Si veda anche: Mauro Stenico, La meraviglia cosmica, Solfanelli, Chieti, 2016:

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Come si è detto, il padre del Big Bang era un prete cattolico. Quale il rapporto tra vita sacerdotale e ricerca scientifica?

“Il nesso è quello stesso che nei secoli ha mosso moltissimi religiosi ad aprire nuovi campi del sapere scientifico. E’ la fiducia, cioè la fede, nell’ordine dell’Universo, nel suo significato, tanto nei dettagli quanto nell’insieme.
La scienza sperimentale, come ha scritto il premio Nobel per la Fisica Charles Townes, “è il tentativo di comprendere la struttura del nostro mondo”, mentre la religione consiste nella comprensione del “significato e scopo del nostro universo”. In questo senso, continua Townes, anche lo scienziato ha, letteralmente, “fede”: ad esempio in alcuni postulati indimostrabili, nell’ordine oggettivo del mondo e nella sua comprensibilità per l’uomo, o, ancora, nella possibilità di unificare progressivamente le leggi della natura (la reductio ad unum della filosofia).

pioLemaître con papa Pio XII, suo amico ed estimatore

La fede nell’ordine e nella intelligibilità del creato ha quasi sempre spinto filosofi, teologi e grandi scienziati verso un senso religioso, con accezione più o meno ampia. Basti ricordare Einstein, Planck o Heinseberg (con il suo grande amore per Platone e per Romano Guardini) per citare tre giganti della fisica del Novecento, oppure le considerazioni che il Premio Nobel per la Fisica del 2006, George Smoot, nel suo Wrinkles in Time , pone riguardo alle sue considerazioni sul Big Bang, allorché ripete più volte parole non neutre come “creazione”, esalta la semplicità e la simmetria dell’universo e insiste nel definire “mistico” il “processo del Big Bang”.
Questa fiducia in un Universo che “parla”, che “dialoga” con l’uomo, perché originato dal Logos divino, ha trovato nei secoli una immagine efficace nella metafora del libro.
Una metafora che troviamo già in sant’Agostino: «Altri, per trovare Dio, leggono un libro. È un gran libro la stessa bellezza del creato […]. Dio non ha tracciato con l’inchiostro lettere per mezzo delle quali tu lo potessi conoscere […]. Gridano verso di te il cielo e la Terra: “Io sono opera di Dio”». Per Isacco di Ninive (+700) il creato è un libro, reso ermetico dal peccato. Per san Francesco, ogni creatura è un cantico, una parola di Dio.

Il primo libro che abbiamo a disposizione, dunque, è la realtà, quella di cui i greci cercavano l’archè. Un libro che si rivela affascinante, e nello stesso tempo, terribile. Il fascino lo colgono tutti, davanti alla bellezza di un fiore o di un tramonto. Dante, nel Paradiso, parla del mondo come di un volume «legato con amore», che però si legge veramente, nella sua unità, soltanto nell’incontro con l’Autore. Per Galilei, nella sua lettera al monaco, scienziato ed amico padre Benedetto Castelli, due sono i libri, quello della Natura e quello della Rivelazione: entrambi provengono dallo stesso «Verbo divino». Per Keplero il “libro della Natura” è venerabile e prezioso: «Poiché noi astronomi siamo sacerdoti del Dio Altissimo con rispetto al libro della Natura, è nostro dovere tendere non alla nostra gloria, ma, al di sopra di tutto, alla gloria di Dio». Per il padre della chimica, Robert Boyle, Dio ci parla anche attraverso il “libro della natura”, che però si svela come un grande e bell’«arazzo arrotolato che non possiamo vedere tutto in una volta […]».

Un libro a volte chiaro, a volte enigmatico, mai assurdo; un arazzo più o meno arrotolato, a volte visibile solo da dietro: se ne vedono fili contorti, non il disegno; apparenti casi, incidenti, non Provvidenza. Ma l’uomo che ha fiducia vede anche l’ordine, il senso, la bellezza, lo scopo.
L’idea di Lemaître è proprio questa: che il senso ci sia, sempre, anche quando sfugge alla ragione (che per lui ha, agostianianamente, bisogno della fede, per non cadere nello scetticismo).

Richiesto sulla differenza tra lo scienziato credente e il non credente, Lemaître sottintende quanto si è detto nel momento in cui risponde: «Entrambi si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente, dunque che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità». da: Francesco Agnoli, Creazione ed evoluzione. Dalla geologia alla cosmologia, cit., p. 85-88.

1)J. P. Luminet, L’invenzione del Big Bang, Dedalo, Bari, 2006, p.93-98; a p. 104: “Lemaître ha previsto ciò che Hubble ha pazientemente riscoperto per via empirica. Come detto in precedenza, la famosa legge dovrebbe quantomeno portare entrambi i nomi. Tanto più che Hubble, a cui viene sistematicamente attribuita la paternità dell’espansione dell’Universo, ha ammesso solo con grande reticenza che la recessione delle galassie poteva essere il risultato dell’espansione dello spazio!”.

 

 

vedi anche:

http://www.filosofiaescienza.it/big-bang-chi-ha-acceso-la-miccia/#more-115