Pascal, Einstein e Lemaître: l’uomo è più grande dell’Universo?

UniversoIl fascino dei cieli è presente anche nell’uomo occidentale di oggi, che il cielo lo vede poco, chiuso com’è tra muri, luci artificiali e mezzi tecnologici. Un tempo, gli antichi mesopotamici scrutavano i cieli, per cercare in essi la divinità, la risposta alle grandi domande esistenziali e per conoscere i ritmi della natura.

Nacque così l’astrologia, in cui l’osservazione degli astri si mescolava con la magia e il fatalismo, producendo così gli oroscopi: il nostro destino è già scritto nelle stelle?
A questa visione si oppose per primo il popolo ebraico, il cui libro sacro insiste sul fatto che la grandezza e la bellezza dei cieli non fa di essi i padroni dell’uomo. I cieli narrano la gloria di Dio, insegna la Bibbia, ma sono creati: grandissimi rispetto all’uomo, un nulla rispetto a Dio.

E’ da questa visione che si sviluppa un’idea fondamentale della filosofia medievale cristiana: l’uomo è dotato di libero arbitrio, non deve cercare nei cieli materiali il perchè delle sue azioni,

ma in se stesso, nella sua anima. Se è vero che i cieli cantanto la gloria di Dio, scriverà l’astronomo e teologo Keplero, nel XVII secolo, Dio però parla soprattutto nel cuore dell’uomo disposto ad ascoltarlo.
Così, tra riflessione teologica e osservazioni, piano piano è accaduto che all’astro-logia si è sostituita l’astro-nomia: agli astri che determinano la vita degli uomini, degli animali, delle piante, i cieli che obbediscono a delle leggi (nomoi, in greco) fisiche. Si tratta di un modo molto diverso da quello antico, pre-cristiano, di vedere l’Universo.

Albert-Einstein

 

Ma l’Universo, i cieli, sono spazialmente infiniti o finiti? L’Universo è eterno, o sottomesso come tutto allo scorrere del tempo? Per il teologo africano sant’Agostino, nel V secolo dopo Cristo, i pagani sbagliano a ritenere l’Universo eterno nel tempo e infinito nello spazio: no, essendo una creatura, l’Universo è finito, c’è un istante di tempo in cui l’Universo ha iniziato ad esistere, e con esso, anche il tempo e lo spazio.
Un concetto difficile da immaginare, ma saranno Albert Einstein e George Eduard Lemaître, un fisico ebreo tedesco, e un sacerdote cattolico belga, a rinnovare lo sguardo sul cosmo, all’inzio del Novecento.

Lemaitre

 

Per Einstein l’universo è, quanto allo spazio, finito ma illimitato; quanto al tempo, probabilmente infinito. No, replica Lemaître, il primo ad intuire l’espansione delle galassie (due anni prima delle osservazioni di Hubble) e a teorizzare, nel 1931 il Big Bang: l’universo è nato da un “atomo primordiale“, e questo fa pensare anche ad un tempo finito…
La fisica del Novecento ci consegna dunque un Universo che nasce dal Big Bang, da un piccolo puntino che si espande incredibilmente e che continua a porre all’uomo delle domande: da dove viene, l’Universo? Perchè esiste qualcosa, e non il nulla? Chi sei tu, uomo, che guardi i cieli e interroghi gli astri, e ne comprendi, almeno parzialmente, le leggi?
Una prima “risposta” ce la dà il già citato Lemaitre, in un discorso del 1950, tenuto a Bruxelles, in cui afferma che «l’Universo non è troppo grande per l’uomo, non sorpassa le possibilità della scienza né la capacità dello spirito umano»; al contrario, dinanzi a esso, l’uomo prova un senso di «fierezza», di grandezza spirituale, percependo di trascendere l’Universo, ma anche di «umiltà»: «unire in noi questa fierezza e questa umiltà, non è forse ciò che costituisce l’essenza stessa della nostra natura umana?».
Ma se i cieli sono così grandi, ma non infiniti, e l’uomo, fisicamente, così piccolo, quanto poco “vale” l’uomo?
Ma anche: se i cieli sono così grandi, e l’uomo è in grado di studiarli e comprenderli, quanto grande è l’uomo?
Sempre Georges Édouard Lemaître, vedeva nella grandezza finita dell’Universo, un’ immagine della grandezza infinita di Dio Creatore, e nell’uomo, nel mistero della sua intelligenza, della sua capacità di amare e della sua libertà, un’ immagine ancora più “forte” di Dio, non definibile per la sua grandezza fisica, ma come Intelligenza assoluta ed originaria, come Pensiero al di fuori del tempo e dello spazio.

pascal
Analogamente, molti secoli prima di Lemaître, un grande matematico, fisico e filosofo, Blaise Pascal (1623-1662) si trovò a ragionare sul sistema eliocentrico, che, rispetto a quello geocentrico, allargava gli spazi cosmici. Anche lui proclamava il suo sbigottimento, di fronte alle immensità  che si aprono sopra e sotto di noi. Però, nel contempo, scorgeva per contrasto dove stesse la dignità umana: non nella materia, ma nello spirito.
Almeno due pensieri di Pascal vanno riportati, per comprendere quanto la scienza apra alla filosofia, e alle grandi domande metafisiche.
Il primo, e più celebre è il pensiero 377:
L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale”.

Il secondo è il 793:

Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi reami non valgono il minimo tra gli spiriti, perché questo conosce tutto ciò e se stesso; e i corpi, nulla.Tutti i corpi insieme e tutti gli spiriti insieme e tutte le loro produzioni non valgono il minimo moto di carità. Questo è di un ordine infinitamente piú elevato. Da tutti i corpi presi insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo pensiero: è impossibile, e di un altro ordine. Da tutti i corpi e da tutti gli spiriti non si potrebbe trarre un sol moto di vera carità: ciò è impossibile, di un altro ordine, soprannaturale”.

piero benvenuti

Piero Benvenuti, primo italiano ad essere General secretary dell’Unione astronomica internazionale (IAU), che riunisce le società astronomiche di tutto il mondo

Non si tratta di riflessioni che hanno perso il loro valore. Oggi uno dei più blasonati astrofisici al mondo, Piero Benvenuti (già presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e direttore dell’Osservatorio Spaziale IUE dell’ Agenzia Spaziale Europea, oggi Segretario Generale dell’Unione Astronomica Internazionale), nota che l’ “esplosione” del Big Bang generò un Universo in cui le stelle “erano, in un certo senso, necessarie alla vita, in quanto produttrici dei mattoni – carbonio, ossigeno, azoto ecc. − che la rendono possibile”; un Universo che evolve unitariamente, e cioè in cui il volo di una farfalla in un continente, ha effetti dall’altra parte del globo; un Universo in cui la materia va organizzandosi sino a “produrre” qualcosa che la trascende, che la supera enormemente: l’uomo.
In un simile Universo -per Benvenuti, come per Pascal e Lemaître-, vi è un “sottile filo rosso che ci lega indissolubilmente alle stesse stelle che emozionavano l’autore del Salmo 8” (quello in cui si dice “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato…”): infatti l’ “emergere dell’uomo e della coscienza” non appare evento fortuito, causale, ma come “conseguente alla caratteristica fondamentale dell’universo stesso, la sua evoluzione”.
Il che renderebbe l’uomo, non uno straniero sperso nell’Universo, ma, per usare l’espressione di un altro grande fisico contemporaneo, il fiore della pianta (Piero Benvenuti, Francesco Brancato, Contempla il cielo e osserva, Milano 2013). F.A.