Fecondazione artificiale: la figura del donatore

 

hobSul Corriere la storia di Ed Houben, olandese, padre biologico di oltre 50 figli

La fecondazione artificiale o procreazione medicalmente assistita (Pma) ha portato alla nascita di un nuova figura: quella del cosidetto “donatore”, cioè della figura maschile che vende il suo seme ad una coppia naturale, ad una donna single o a una coppia di lesbiche.

Con la figura del donatore sono nate le banche del seme.

Banche e donatore. La prima parola indica la verità delle cose: stiamo parlando di compravendita, relativamente all’uomo. La seconda, “donatore”, è una creazione un po’ orwelliana, dato che si tratta per lo più di vendita, e non di dono del seme.

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Due ragazze si accorgono di essere figlie dello stesso padre biologico, mai visto e conosciuto (Corriere della sera,22/1/2014)

Debora Spar, docente di Business Administration alla Harvard Business School, ha scritto un testo, Baby Business (Sperling & Kupfer, 2006), in cui descrive in modo asettico il mercato del seme, degli ovuli, degli uteri in affitto, soprattutto negli Usa…

Riguardo al venditore di seme di solito costui viene attirato tramite materiale promozionale cartaceo, oppure attraverso proclami in rete, e riceve circa 70-80 dollari per volta. Ogni campione di seme è sufficiente per 3-6 fiale, ognuna delle quali viene rivenduta per una cifra tra i 250 e i 400 dollari, con un margine di guadagno per le banche di circa il 2000 per cento.

Quanti figli genetici può spargere in giro il cosidetto “donatore”?

In Italia, prima della legge 40, vi furono persone, in qualche caso malati di aids, che arrivarono a donare centinaia di volte; quanto alle donne “esisteva un vero e proprio mercato di ovociti rubati, e anche molti embrioni cambiavano proprietario“. Il mercato degli ovuli muove cifre molto più alte: infatti la cosiddetta ovodonazione è assai pericolosa. Le donne che vendono i loro ovuli vivono sulla loro pelle una pratica altamente invasiva, che può determinare emorragie, sterilità, tumori e talora persino la morte. Le denunce di questo crescono di continuo nei paesi in cui l’eterologa è legale da tempo. Ma il denaro gira: nel 2004 molti centri per la fertilità americani proponevano cataloghi di ovuli con un costo tra i 3000 e gli 8000 dollari.

Se il movente principale della vendita del proprio patrimonio genetico (l’unico che si possa vendere: non si commerciano né il sangue, né i reni…) è il denaro, resta da chiedersi chi siano questi venditori.

Secondo Willy Pasini, psichiatra e sessuologo, bisogna dire che talvolta il donatore stesso può percepire in maniera psicologicamente negativa la sua funzione di stallone. Per esempio in una ricerca condotta da Tekavcic, un certo numero di donatori intervistati un anno dopo hanno detto di aver sentito uno sgradevole sentimento di responsabilità nei confronti del figlio nato dal loro sperma. Il 25% di questi donatori avevano pensato una volta o l’altra alla realtà del loro figlio biologico, il 20% avrebbero voluto conoscere questo bambino e il 10% hanno rimpianto di aver dato il loro sperma. E’ stato pure segnalato il caso di un donatore professionale danese che avrebbe avuto una grave depressione con tentativo di suicidio quando è stato schiantato dall’idea delle responsabilità che pesavano su di lui nei confronti dei numerosi figli che aveva ‘seminato’ in Danimarca“.

Leonardo D’Ancona, psicologo e psicoanalista, denunciava già negli anni Ottanta che “da parte del donatore si evidenziano problemi di grande importanza emotiva; si deve dire, anzitutto, che il donatore professionale può essere tale per il fatto di avere una personalità instabile e nevrotica; salvo eccezioni, chi è sereno e soddisfatto di se stesso, non sceglie infatti di fare il donatore di seme. Queste scelte hanno un significato ‘riparativo’, cioè tendono a realizzare ciò che non si è verificato naturalmente in se stessi… vi è anche chi dà il proprio seme come esibizione della propria forza…”, della propria “potenza” (Luciano Ragno, Un figlio ad ogni costo, Roma, 1984).

Cercando in internet, si trovano annunci, con annesse generalità e dietro promessa di pagamento, di questo tenore: “Sono sano al 100% e posso dimostrarlo: ho test che certificano che non ho hiv, sifilide, clamydia nè altra malattia sessuale trasmissibile col seme. Ho anche uno spermiogramma certificante che ho una ottima mobilità… Sono alto 180, capelli castani, occhi neri mai nessuna malattia nè problema al mio Dna…posso mandarvi anche delle foto…”. Oppure ci sono mogli che gestiscono gli affari dei mariti: “Salve sono la moglie di un over 50 bellissimo (in gioventù), intelligentissimo, atleta, carattere pacato, salute di ferro…peccato aver fatto solo due splendidi figli! E’ per questo che penso possa essere un ottimo donatore. Ma l’età è così tassativa?”.

Di seguito la storia di uno di questi donatori e quella di una giovane americana, Lindsay, nata nel 1985 da una “madre single per scelta” e da un anonimo venditore di sperma (tratta da: Eugenia Roccella, Fine della maternità, Cantagalli, Siena, 2015):

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